venerdì 4 settembre 2009

Africa: vergogna dei leaders
religiosi, politici e scientifici 2005

Il “Venerdì” di Repubblica pubblicava il 27 maggio un ampio servizio di copertina interamente dedicato all’Africa e intitolato “Africa – Da un anno fa ad oggi altri 10 milioni di persone sono morte per fame, malattie, guerre. Insomma, nulla è cambiato”. Il servizio, che traccia un bilancio catastrofico della situazione africana e degli sforzi fallimentari compiuti dall’Occidente per soccorrere quelle popolazioni, merita un commento approfondito perché mi è sembrato un esempio emblematico dell’incredibile rimozione della “madre di tutte le tragedie contemporanee”, appunto l’esplosione demografica, che accomuna le nostre dirigenze mediatiche, religiose, politiche e scientifiche al di là delle loro divergenze abissali in tanti campi e che conferma il primato dei fattori psicologici nella dinamica socio-politica del nostro tempo.
In dieci fitte pagine, l’articolo riesce infatti a descrivere sia gli aspetti generali che qualche episodio più orripilante della tragedia africana e ad intervistare sulla questione le più diverse autorità politiche, religiose e scientifiche, ma senza dedicare una sola riga, una sola parola ai cruciali fattori demografici di quella tragedia, posti tra l’altro anche alla base della marea immigratoria che sta travolgendo la civiltà liberaldemocratica europea.
“Fino agli Anni Sessanta – scrive il supplemento di “Repubblica” all’inizio del suo reportage – gli abitanti di Mwanza vivevano poveramente ma dignitosamente del pesce pescato nel Lago Victoria. Poi venne la modernità e s’introdusse nel lago il pesce persico del Nilo. Oggi, sulle rive del Victoria, la gente si ciba e nutre le famiglie coi resti del pesce persico lavorato dall’industria ittica locale. Questa storia, che si svolge sul più grande lago del mondo, la racconta un film crudo e terribile, “L’incubo di Darwin”, girato da un regista austriaco, Hubert Sauper”. Peccato però che nè il sagace reporter di “Repubblica”, Attilio Giordano, né il geniale regista austriaco che della storia di Mwanza si prodiga a raccontare le immagini più atroci di fame e crudeltà, accennino minimamente alla causa primaria di tanto orrore (considerata evidentemente una quisquilia dai nostri intellettuali, sempre così ricchi di compassione a buon mercato e così poveri d’intelligenza e indipendenza, qualità purtroppo costose per chi le ha e le usa): e cioè al fatto che, nel mezzo secolo trascorso tra il Paradiso Perduto degli anni ’60 e l’Inferno attuale, la popolazione locale (che già allora viveva poveramente, ma dignitosamente) sia divenuta otto volte più numerosa (dicesi otto volte), com’è del resto accaduto in tutto il Continente africano. Per capire la vergognosa stupidità e viltà di questa omissione, basta domandarsi che sarebbe dell’Italia se, dai 50 milioni d’abitanti degli anni ’50 fossimo diventati 100 milioni nel 1965, 200 milioni nel 1980, 400 milioni nel 1995 e veleggiassimo verso gli 800 milioni tra 5 anni. Anche i nostri bambini, come quelli africani, cercherebbero qualche avanzo tra montagne di rifiuti e anche noi saremmo felici di lavorare per un paio di euro al giorno, mentre non servirebbero a molto gli 800 mila contratti per lavori socialmente inutili chiesti e ottenuti dal leader intelligente della nostra sinistra intelligente, Fausto Bertinotti. Ma i nostri cervelloni strapagati delle cattedre di scienze politiche, economiche, sociali e perfino demografiche, questo tema della popolazione preferiscono ignorarlo da sempre o, tutt’al più, se ne occupano solo per segnalare, disperati, che la nostra popolazione non cresce più.
E anche gli “esperti” (si fa per dire) intervistati da “Repubblica” sono, in proposito,
più muti dei pesci. Così Antonio Raimondi, presidente di tutte le organizzazioni assistenziali dei salesiani (un carrozzone da molti miliardi di euro), spiega il disastro africano con i tre micidiali colpi inflitti al continente nero dal solito belzebù, il bieco Occidente: il primo fu lo schiavismo, il secondo fu il colonialismo politico e il terzo è il neo-colonialismo economico odierno. Ma, oltre a sorvolare sul caldo appoggio dato a queste nefaste imprese dell’Occidente capitalista dal mondo clericale del passato, Raimondi scorda del tutto il quarto colpo, davvero mortale, inflitto all’Africa dai suoi prediletti romani pontefici del ‘900: l’esplosione demografica, coi suoi tragici corollari che Raimondi enumera lamentosamente - dalla fame alla mortalità infantile alle malattie alla desertificazione alle guerre territoriali (ben 16 oggi in atto con 4 milioni di morti in cinque anni, nella sola guerra del Congo) – tacendone peratro scrupolosamente la massima causa. Ma non c’è forse da stupirsene, dopotutto si tratta di marmittoni del Vaticano abituati da sempre, per usare un motto militare, “a servir tacendo e, tacendo, morir”.
Più difficile è capire l’identico vergognoso silenzio di Giampaolo Calchi Novati sulle primarie cause demografiche della tragedia africana. Giovane leone sessantottino che negli anni ’70 rovesciò nelle librerie italiane i suoi saggi innumerevoli e indistinguibili sulle colpe dell’Occidente capitalista e sulle meraviglie del Terzo Mondo, Calchi Novati si è puntualmente assicurato la sua brava e strapagata cattedra di Storia africana contemporanea e nell’ultima sua opera ripete la sua prevedibile elencazione delle tragedie africane e delle colpe del Belzebù occidentale, ma non dice neanche lui una parola sulla quisquilia della Bomba demografica. Del resto, perfino un luminare della medicina italiana come il prof. Aldo Morrone, che dirige un intero ospedale in Etiopia e che, in quanto medico, dovrebbe conoscere bene il calvario delle donne africane sfiancate dalle maternità, e dei bambini affamati di quelle donne costrette a figliare come coniglie, disquisisce a lungo sull’inutilità di troppi aiuti sanitari, ma si cuce la bocca sul tema demografico.
Insomma, un giornalista progressista, un geniale regista, l’organo magno della nostra cultura sinistrese, i frati salesiani, un cattedratico al merito sessantottino e una emulo nostrano del Dr. Schweitzer cantano tutti in coro, nonostante le abissali differenze ideologiche, lo stesso barboso miserere sulla tragedia africana ma si guardano bene tutti dall’accennare alla sua causa centrale – la natalità incontrollata – e alla pregiudiziale d’ogni serio rimedio: la regolazione delle nascite. Dinanzi a quest’assurdo e generale piagnisteo, solo l’analisi psicopolitica riesce a indicare nei tabù sessuali una spiegazione applicabile a tutti i rappresentanti della politica, della cultura, dell’informazione e delle scienza egemoni, al di là delle rispettive diversità ideologiche. Ed è davvero difficile capire perché ci si ostini a negare l’importanza prioritaria delle cause e delle analisi psicologiche dei grandi problemi odierni.

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