domenica 13 settembre 2009

Galimberti, l'intellettualone insensato

Sfogliando "D" (il supplemento femminile di Repubblica,) del 12 sttembre 2009, mi sono imbattuto in uno dei tanti spazi che quella casa editrice accorda a Umberto Galimberti e ho letto un articolo che, sovrstato da una foto di Galimberti in posa di pensatore (con la testa tra le mani e gli occhi di fascinatore puntate sulle lettrici), iniziava così: "Per vivere, l'uomo ha bisogno di costruirsi un senso in vista della morte, che è l'implosione di ogni senso". Confesso che l'incipit mi ha fatto trasecolare, perchè tre anni fa avevo letto, in un'altra lenzuolata di saggezza galimbertiana pubblicata da "Repubblica", parole ben diverse, per non dire opposte:
"Il bisogno di significato - scriveva allora il nostro Umberto - è solo il prodotto d'una cultura, quella giudaico-cristiana, di cui siamo, volenti o nolenti, rampolli". E sentendosi ovviamente superiore a certi bambocceschi bisogni, Galimberti continuava:
"“In realtà devo essere già religioso per pormi il problema del significato della vita. Altrimenti, come nel mio caso, quel problema non mi passa neanche per l’anticamera del cervello. La questione del senso della vita e delle cose nasce infatti all’interno della tradizione giudaico-cristiana”.
Francamente non capisco dove Galimberti traesse questa sua conclusione apodittica. In realtà, la ricerca del significato è un bisogno antico quanto l’uomo: e lo troviamo già nella filosofia greca, di mezzo millennio anteriore alla civiltà cristiana, o nella religione buddista, del tutto indipendente dalla cultura giudaico-cristiana, mentre la credenza in una vita ultraterrena, come credo d’aver dimostrato nella mia opera “Lo shock primario” (Edizioni Rai-Eri, 2002), è testimoniata addirittura nelle sepolture neandertaliane di 80 o 100 mila anni fa. Ed uno dei massimi psicologi di stampo umanistico, Viktor Frankl, lo aveva chiaramente intuito quando scriveva già negli anni ’50, in polemica con Freud e Adler, che il bisogno essenziale dell’uomo non è il bisogno di sesso o di potere ma il bisogno di significato.
Galimberti non sembra rendersi conto che il bisogno di significato non nasce solo dal dolore, come egli dice, perché la storia stessa di Buddha, un principe amato dal padre e dalla sua diletta sposa e circondato solo di gioie che esce dal suo giardino incantato per conoscere il mondo e cercare la sua verità, ci dice che quella ricerca del senso della vita può nascere anche dal benessere. E poi, come lo stesso Buddha ci ha insegnato, il dolore è inseparabile dall’esistenza, se non altro perché, come i miei studi sull’angoscia hanno dimostrato, l’emersione della coscienza nel corso dell’evoluzione umana ha portato l’uomo alla coscienza del proprio destino di morte ed alla partecipazione disperata all’agonìa dei propri simili più amati: cosicché tutte le religioni, e non solo quella giudaico-cristiana, possono essere viste come altrettante formazioni reattivo-difensive dinanzi all’angoscia della morte.
Ma, non a caso, la religione stessa, che Galimberti vede solo come lo strumento cruciale della psiche umana per dare un senso alla vita, è risultata meno prioritaria del bisogno di significato nella lotta dell’uomo contro il suo malessere esistenziale. Fin dagli anni ’50, infatti, le ricerche di Herman Feifel sull’angoscia di morte tra i pazienti terminali hanno rivelato che i credenti non erano meno angosciati dei non credenti dinanzi alla morte incombente, mentre i pazienti di gran lunga più sereni sono risultati gli uomini e le donne che sentivano di aver vissuto una vita significativa o, detto altrimenti, di essersi sostanzialmente realizzati. Dinanzi a queste realtà, il sarcasmo con cui Galimberti tratta la ricerca umana di significato e se ne proclama immune appare non un segnale di superiorità intellettuale, ma solo di patetica aridità o rimozione. Del resto, penso che la ragione centrale per cui il pensiero e la società liberale sono approdati all’odierna crisi vada cercata proprio nel fatto che hanno ridotto la libertà a consumismo, l’amore a banalità sessuale e la speranza a scetticismo, senza saper rispondere a questo centrale bisogno umano di significato.
Per parte mia, credo invece che, se le religioni dogmatiche tradizionali appaiono spesso, alla mente dell’uomo moderno, patetiche favolette consolatorie, la religiosità, come perforante percezione e intuizione umana d’una forza che ci trascende e che dà appunto un senso alla nostra vita, non sia affatto da considerare illusoria. Se , come tutto sembra indicare, l’essere umano è la più alta espressione dell’evoluzione vitale, non è assurdo pensare che i sogni di Amore, Bellezza, Giustizia, Armonia, Immortalità, Creatività e Compassione portati dall’uomo in un processo vitale finora sottoposto al dominio di leggi crudeli e monotone, siano anche i sogni della Vita e che noi siamo forse espressione del tentativo della Vita di riorientare il suo corso. Insomma, l’umanesimo liberale mi sembra trovare il suo significato fondamentale in una sorta di religione dell’uomo, in una religiosità che ci fa sentire e capire che siamo portatori d’una rivoluzione cosmica e che è bello vivere e morire per i sogni dell’Uomo e della Vita.
Galimberti, dunque, sembra aver superato ultimamente il disprezzo con cui guardava agli umani in cerca del senso della vita. Ma va detto che, anche quando la ricerca del senso della vita non gli passava neppure per l'anticamera del cervello, il senso della carriera e del successo, in questa Italia governata dal sinistrese post-comunista, non gli è mai mancato. Così, per esempio, mentre ha acutamente e precocemente segnalato l'importanza cruciale dell'angoscia esistenziale nella genesi del malessere umano, si è ben guardato dall'entrare in conflitto aperto con la psicoanalisi freudiana, pur sapendo benissimo che Freud e tutto il suo movimento hanno fatto della negazione dell'angoscia di morte la pietra angolare del loro sistema teorico e professionale.
Del resto, la coerenza non è mai stata un'esigenza sentita tra i luminari della nostra psicoanalisi. Così, per esempio, Cesare Musatti, padre della psicanalisi italiana, ha fatto la sua fulgida carriera
nella cultura e nell'università italiana militando simultaneamente nell'ortodossia psicoanalitica ed in quella comunista, cioè in due mondi che erano ovviamente incompatibili: quello psicoanalitico che considerava la distruttività parte essenziale e indistruttibile della natura umana e quello comunista che proclamava di voler realizzare una società del tutto pacificata e affratellata e considerava la psicoanalisi un patetico prodotto della corruzione borghese e capitalista.
E, in fondo, questa brillante capacità di evitare ogni conflitto con i propri sponsors politici e culturali coltivando al tempo stesso clamorosa carriera e tacita eresia è una caratteristica d'ogni intellettualetto e intellettualone sinistrese italiano, da sempre.

5 commenti:

  1. O Luigi, In questo blog ci manca una funzione di ricerca e una mail per contattarti.
    Per questo ti scrivo dal commento di un articolo.

    Comunque volevo linkare dal mio sito il tuo glorioso articolo sul counseling (Counseling una professione due volte necessaria in Italia)...se ne stai riscrivendo, sarebbe bello sentire qualcosa di più del tuo incontro con Rogers a cui accennavi...

    Un saluto!
    Marcello
    www.gestaltcounselor.it

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  2. Sul merito del presente articolo, condivido l'analisi sul personaggio Galimberti...sulle incoerenze della storia...ma non la tua generale posizione sulla morte che ho imparato a conoscere dai tuoi libri.
    L'essere umano non è un fenomeno essenzialmente identificabile, limitabile: non sappiamo quali siano i confini della soggettività. La paura della morte non deve necessariamente riguardare l'"evento morte": potrebbe essere anche un simbolo della "fatica del cambiamento" tout-court. In questo senso la lotta per la libertà, è un eterno presente, un continuo passaggio da ciò che era a ciò che sarà. Come la televisione non è la sede dello spettacolo che trasmette, non c'è motivo di credere che la coscienza sia esclusivo prodotto dell’attività cerebrale...o di una attività circoscrivibile.
    A spiegazione delle incoerenze di molti personaggi, credo che non si possa circoscrivere col pensiero la realtà. L'intelletto è sempre incoerente perchè lavora sulla logica dell'emozione, che a sua volta è la linea di pescaggio dell'iceberg del sè, che è in un oceano, che è su un pianeta...e così via. Non vi sono livelli evolutivi che controllano o completano i precedenti...di livelli ce ne sono infiniti, esiste solo l'azione della consapevolezza. Io almeno la penso così, e per questo mi sono allontanato dalla politica propriamente detta...(fui tra i fondatori di Rientrodolce) Un saluto!

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  3. Caro Gigi, questo post è molto bello e devo dire, pur nell'occasionale polemica con Galimberti, sereno.

    Non vuol esserci nel termine "sereno" un significato di banalizzazione delle emozioni, semmai un profondo ed equilibrato senso positivo verso la vita pur navigando tra le onde della tragedia.

    La religione come hai detto bene è più che una confessione ben determinata, essa è una facoltà della nostra coscienza e per questo sarebbe da stolti negarne l'importanza.

    La religione è come l'arte e la conoscenza: una strada per comprendere la realtà e comprendere se stessi.

    Accade nel sentimento religioso un fatto inverso del sentimento dell'amore passione: quest'ultimo parte dall'oggetto amato per espanderci verso l'universo, il primo invece parte dall'universo per concentrarci negli elementi singoli che lo compongono.

    Tutt'e due i sentimenti liberano quando sono veri.

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  4. Lieto di averla ritrovata Prof!


    http://gabbianourlante.splinder.com

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  5. Caro Professore,
    dopo mesi di tentativi sul suo vecchio indirizzo, finalmente la ritrovo. Auguri per il futuro! Se riuscisse, non sarebbe male riappropriarsi del suo vecchio dominio. Immagino infatti quanti siano coloro che ritengono che abbia smesso di scrivere e che invece gradirebbero leggere di nuovo le sue riflessioni. Circa l'articolo non mi è chiaro il suo riferimento alla Vita. Capisco quello all'Uomo e alla sua sfida cosmica. Ma quello alla Vita mi riporta alla Natura di Spinoza. Penso giusto? Saluti
    Giorgio Angius

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